martes, 29 de septiembre de 2009

Poesía de Guido Riggio Pou

Magico Specchio Guido Riggio Pou







       

     Magico specchio



Poesía de Guido Riggio Pou, que obtuvo una mención especial en el Concurso Città di Viareggio – Septiembre de 2005 - Publicada en la Antología de 2005 - Ediciones Il Molo - Viareggio.
. Traducida por Maria Antonietta Ferro






 Magico specchio

Oggi i miei giorni sembrano
un bagliore, una brezza;
tante cose da amare,
tanto tempo non tempo.
Come passano gli anni
spazzati via dagli anni,
trafugati dal vento;
allargherò le mani
li infilerò alle dita,
li verserò negli occhi,
nel mio magico specchio.
Nasconderò le ore
al di là della brezza,
al di là di ogni fiore le vestirò di rose;
prigioniere del cristallo,
prigioniere dei miei sogni,
il tempo non le toccherà.


Mágico espejo

Hoy parecen mis días
un destello, una brisa;
tantas cosas que amar,
tanto tiempo sin tiempo.
Como se van los años
barridos por los años,
dispersos por el viento;
alargaré mis manos
los cogeré en mis dedos,
los verteré en mis ojos,
en mi mágico espejo.
Esconderé las horas
más allá de la brisa,
más allá de las flores las vestiré de rosas;
prisioneras del cristal,
prisioneras de mi sueño,
no las tocará el tiempo.

È così sola la Poesia ovvero L'orecchio musicale del poeta.

 

al italiano por maria antonietta ferro


È così sola la Poesia ovvero L'orecchio musicale del poeta.

(Pubblicato sul settimanale culturale Areito del quotidiano HOY della Repubblica Dominicana il 14 e il 21 luglio 2007)
   di Guido Riggio Pou


“Che le parole siano scritte dalla musica” (Mozart)
Se esiste un essere esiliato, un essere incompreso, notoriamente assente nella critica attuale delle opere poetiche, questo è la musica.

È sufficiente leggere gli scritti che nell'ambito della critica letteraria vengono pubblicati, per renderci conto che l'aspetto più fondamentale della poesia e fonte delle sue origini, la musica, resta estraneo a qualsiasi considerazione.

E non a caso, perché la musica, il ritmo interno e temporale che si snoda lungo l'intera composizione poetica, è elemento estraneo alla produzione letteraria dei nostri giorni; e nello stesso tempo, per il carattere impalpabile della sua presenza, è un fondamento difficile da apprezzare all'interno della sottostante struttura della creazione.

Pochi poeti e ancora meno critici sono pienamente consapevoli del fatto che il germe di qualsiasi buona poesia ha la sua origine nella musica. Forse perché l'orecchio musicale, la capacità uditiva e percettiva necessaria a identificare gli schemi di ritmo, colore ed essenza musicale, si è perso col tempo.

Ciò a causa della grande confusione estetica generata dalla vasta e debordante produzione letteraria esistente, nella quale abbonda ogni giorno di più un’errata e incessante ricerca di originalità, e del conseguente abbandono dei fondamenti classici che delineano la bellezza.
Aggravato, per di più, dalla facilità di accesso ai mezzi di diffusione di opere carenti di valore ed erroneamente valutate e esaltate da "qualificati esponenti" della critica.


È così che a poco a poco stanno sfumando i contorni estetici che definiscono la poesia. Sembra come se avessimo dimenticato che la musica con i suoi suoni e i suoi silenzi, con la sua armonia la sua bellezza, è l'essenza nella quale si annida lo splendore di qualsiasi buona lirica.

Considerare solo l'aspetto che riguarda la comunicazione dell'idea e trascurare il fondamento sonoro della lingua, armonioso veicolo su cui deve cavalcare l’ idea, significa ignorare che il pensiero anela – visceralmente -a incontrare nella parola che lo incarna la musica esatta che lo esalti.

Perché solo così, grazie all'incontro dell'idea con la sua autentica musica, il pensiero potrà raggiungere il massimo della propria potenza, solo così potrà manifestarsi in corpo e anima per continuare a svolgere il suo compito primordiale: scuotere la coscienza umana.


Purtroppo la critica poetica che si scrive oggi rivolge la sua attenzione ad aspetti secondari. In genere si tende a porre l'accento sulla tematica come se si trattasse dell'elemento più importante della creazione poetica, ma la tematica non lo è, poiché non costituisce una categoria estetica, e anche l'argomento più insignificante, quando è trattato in maniera squisita, può trasformarsi in buona poesia. Tuttavia la bellezza deve essere il fondamento e l'obiettivo principale della creazione estetica oltre che il nucleo dell'attività creatrice.

In natura la musica, il canto - voce comune a molte specie - nasce prima della parola; dopo molto tempo dal palpitare dei primi canti degli uccelli sgorgò nell'uomo la parola. E ancora più tardi il verso, il suo canto, nel quale l'uomo trova la condizione musicale della sua voce.

Due sono gli aspetti essenziali che dobbiamo sottolineare nella genesi di ogni poesia. Un primo aspetto naturale e misterioso, che promana dal mondo sommerso della coscienza, e che contiene due elementi imprescindibili che costituiscono l'essere germinale o poema: l'idea e la sua musica. E un secondo aspetto -a dire meglio temporale - che sorge nel mondo visibile della coscienza e che è legato all'umano: la poesia.

Questo secondo aspetto, la poesia, si manifesta quando la sensibilità del poeta che riceve la misteriosa e naturale prima rivelazione - il poema - agisce, elabora, sviluppa e cesella i diversi aspetti che conferiranno esistenza materiale all’ essere germinale che gli è stato rivelato; e che sarà, al pari del primo, modellato dall'idea e dalla sua musica.

Questo aspetto umano si elabora palesemente a livello cosciente della sensibilità del creatore e la sua bellezza dipende dall'uso estetico che egli fa della lingua. Lì i profili acustici e sonori della parola, del verso, devono essere amalgamati dal creatore fino a quando non si fondano con l'idea, con il valore semantico della parola. Lavorare, ridurre e cesellare la parola fino a raggiungere la piena armonia del canto e dell'idea: ecco la missione estetica del poeta.

Dobbiamo tener conto del fatto che queste "note musicali", o sillabe elementari che formano le parole, si snodano - proprio come la musica - nell'ambito della temporalità, a causa delle molteplici proprietà acustiche specifiche che le costituiscono. Per questo le parole nella poesia devono essere adeguatamente soppesate e poi accuratamente scelte finché tutte non siano musicalmente armonizzate fra loro e armonizzate con la loro sorgente madre, il poema.

Solo in questo modo e a condizione che operi un poeta sensibile e dotato di orecchio raffinato e squisito, il pensiero può cercare e trovare la sua adeguata condizione musicale.


Pertanto, mentre il creatore realizza il suo arduo lavoro intonando pensiero e parola, l'altro grande pentagramma, il poema, origine ed essenza della composizione, aspetta in silenzio le sue note maestre e la sua idea, nell'attesa di trovare un'appropriata creazione poetica umana e incarnare in essa la sua bellezza. E la incarnerà soltanto quando queste voci sillabiche e il pensiero arrivano a formare parte inseparabile di quell' armoniosa musica originale e fino a quel momento sfuggente. Voce che una prima volta parlò al poeta: il suono originale che gli dette la vita e l' idea primordiale che in essa incontrerà la sua esistenza terrena.

Questo suono-idea (germinale e primigenio) si trasformerà grazie alla parola in singolare creatura spirituale percettibile, e si ergerà a coerente creatura pregna di significato e di perfezione sonora, formando così l'irriducibile poema che incarnato nella poesia palpiterà all'unisono con quella grande nota universale che lo contiene. Solo allora potranno unirsi il mondo umano e quello sovrumano per formare un unico cosmo a cui inesorabilmente entrambi appartengono: il mondo vibrante dell'armonia universale.

Così come la musica originale che scorre dai piani superiori della creazione si annida nel cuore del compositore musicale che la riceve e la riversa sul pentagramma che compila con le sue mani, così da quegli stessi piani, attraverso un poeta sensibile, discenderà la musica del grande poema originario, incarnandosi nella sua nuova esistenza terrena.

Il poeta, da quel compositore musicale che è, cerca di amalgamare la sovrumana musica originaria del poema con le parole sonore e umane del verso terreno, per formare con entrambe un potente corpo vibrante, un solo essere. Solo così, dalla fusione di questi due aspetti sonori, il poema si incarnerà nella poesia.

Ecco la grande differenza fra versificatori e poeti. I primi riescono solo ad afferrare un certo numero di intonazioni elementari che fuoriescono dal derma del gran poema, ma solo i poeti sensibili e dall'orecchio raffinato sono quelli che riescono ad racchiudere nei loro versi terreni la totale e singolare bellezza del poema.

La voce umana è lo strumento musicale per eccellenza. Nessuna nota, nessuna musica eseguita da un qualsiasi strumento produce un'emozione più sublime di questa singolare voce.

Un intenso piacere riceve quell'anima che ascolta una voce dotata di un timbro acuto quale quello di un soprano. È sufficiente rievocare le emozioni che risvegliarono nel pubblico i castrati dei secoli scorsi per saperlo. Come Farinelli, che con le sue estese, forti e pure note riuscì a commuovere le folle.

C'è però una grande differenza fra queste voci privilegiate e la Voce solitaria della poesia.

La poesia, il verso, è parola, è musica, ma a differenza delle voci del canto, ha come collante,come materia prima per creare la sua atmosfera musicale, la sua voce sommessa e solitaria, la parola. Voce che è sola, che non si avvale di nessun artificio strumentale o vocale per sostenere la propria bellezza. E neppure gode del privilegio di una soprana tenerezza che la nutra e la sostenti.

Il poeta non dispone di altro privilegio musicale se non quello della parola solitaria che sgorga dal suo parlare quotidiano. Senza astuzie, il poeta deve sostenere la propria creazione con la musica semplice delle sue parole. La poesia deve raggiungere la bellezza sonora che contraddistingue il gran poema, da sola, basandosi sulla sostanza. Deve offrire le sue verità di contenuto estetico grazie alle armonie sonore che formano le parole e all'uso misurato e delicato della retorica; soltanto con l'aiuto di questi scarni strumenti deve riempire il pentagramma di ritmi e cadenze e silenzi, fino a raggiungere l'anelata bellezza.

La poesia deve raggiungere la propria meta e trasmettere le proprie emozioni con i puri e semplici suoni naturali che formano le parole della lingua nella quale si scrive. È così sola la poesia.

Per questa condizione di solitudine, semplicità e naturalezza la poesia è un canto che può essere intonato da qualsiasi voce. Non è necessario avere una preparazione musicale speciale per cantarla; essa manca di artifici, si nutre delle parole semplici, della voce comune e quotidiana della vita di ogni giorno. Sarà forse per la condizione semplice e comune che possiede che abbiamo perduto l'orecchio musicale che la buona poesia richiede. Sembra che si sia persa la facoltà che ci permette di distinguere la bellezza nascosta nel suo canto. È così sola la poesia.

Così come il compositore musicale trasferisce sul pentagramma le idee, i paesaggi e le emozioni, aiutato da una successione di note, pause, silenzi e armonia - propria della sua tecnica musicale - per riuscire a ricreare nella nostra mente l'immagine viva del mondo intangibile nel quale vide la musica sorgere, nello stesso modo anche il poeta, di fronte all'assenza delle combinazioni infinite di suoni di cui i musicisti dispongono, deve avvalersi solamente del valore musicale delle parole e del significato semantico che esse contengono. Con questo soltanto deve riuscire a incarnare le emozioni delle immagini creatrici di quel mondo ineffabile in cui vivono e si manifestano gli archetipi che formeranno e alimenteranno il nostro futuro.

Dobbiamo capire che l'Idea giunge alla poesia con la sola speranza di trovarvi una Voce che la contenga. Però l'Idea deve reclamare per sé una parola degna, limpida e cristallina. Questo richiede, perché solo così potrà assolvere il suo compito e incarnare in questo mondo la luce del pensiero latente nel cosmo degli splendori, il cosmo dove si delinea, si concepisce e abita la vita e la bellezza.

Come il musicista creatore, con le immagini musicali delle sue composizioni, ci trasporta nel mondo delle emozioni, così il poeta, attraverso la sua musica semplice, ci trasporta in quel mondo ideale in cui abita la bellezza.

Il resto, quella successione di parole belle e risonanti, piene di " gelida e laboriosa vacuità", che pretendono di prendere vita attraverso gli artifici con i quali oggi si scrive poesia, altro non sono che scheletri morti che mai hanno aggiunto neppure un triste osso ai mondi sovrumani nei quali abitano le ineffabili realtà del poema.

Quelle sono "composizioni" concepite nei piani bassi della mente umana: strumento imberbe che mai ha posato l’occhio sulle sfere dell'idea e della bellezza, inenarrabile ambito nel quale è solita pascere la poesia. Quelle sono soltanto un "erbario di metafore e arguzie", di parole formate da " ingegnosi versi" che non hanno mai neppure immaginato il suono originale del gran poema che le celebra.

Come disse Borges di Baltazar Gracián:

Emblemi, labirinti, bizzarrie,
gelida e laboriosa vacuità
fu la poesia per questo gesuita
che la ridusse a qualche stratagemma.

In lui non vi fu musica, ma un vano
erbario di acutezze e di metafore,
e la venerazione per le astuzie
e spregio per l'umano e il sovrumano.

Il poeta deve stare sempre attento allo squillo di tromba che percepisce in un vento leggero, capriccio di qualche dio vanitoso e avaro che ha deciso di rivelarsi con la sua lira a livello terreno per incarnare gli archetipi con cui si nutriranno questi mondi di materia. E sarà solo sugli esseri sensibili, dall'orecchio fine e attento alla lira degli dei, sarà sopra di loro che discenderà la divina emozione della musica e l'idea.

Se non abbiamo capito la fatale essenzialità della musica nella poesia, è perché abbiamo perso il senso del sublime, dell'immacolato, del divino. È perché abbiamo perso la sensibilità, la percezione dell'armonia universale. Forse perché abbiamo creduto essere noi stessi la fonte dell'ispirazione.

" Che le parole siano scritte dalla musica" disse Mozart. Che la pittura, la scultura... che l'arte... sia "scritta" dalla musica! La musica (il verbo) è l'armonia primordiale e primigenia che si stempera in torrenti di armonie lungo tutte le vene dell'arte e della natura fino a rimanere plasmata in tutte le loro manifestazioni.

Il poeta deve essere uno strumento raffinato e attento, disposto ad ascoltare la musica annunciata dall'urgenza di una voce che anela a cantare la Terra. Il poeta, l'artista, è il cronista, l'interprete sensibile di quella divina emozione, è colui che sviscera l'enigma che gli dei hanno voluto trasmettere. E sarà il poeta l’oggetto di questa divina scelta, nella misura in cui il suo orecchio musicale è sintonizzato con il canto che abita nelle sfere.

La più nobile finalità della poesia e della musica è stimolare il pensiero. E il pensiero si stimola soltanto quando vengono toccate le strutture portanti dell'uomo: l'emozione e la ragione. È l'idea che arriva al poeta e alla sua poesia per manifestarsi fra gli uomini, ma l'idea potrà cavalcare su questa terra solo un degno destriero, una voce armoniosa che la valorizzi.

È attraverso la musica e il suo divino verbo che gli dei ci offrono il dono della creazione, e solo in essa, nella musica, dimora l'imperscrutabile principio delle cose e la fonte creatrice della vita che impregna tutta la materia.

Solo la musica con le sue armonie può plasmare nel mondo materiale le emozioni archetipiche che abitano i piani superiori della natura, solo la musica è stata indicata dagli dei per rivelare i loro spaventosi segreti. E gli dei, sempre avari, sono soliti sussurrare solamente alcune note del loro canto, del loro gran poema.

Per questo motivo qualsiasi arte - plastica o meno - riposa nelle armonie e nelle proporzioni la cui origine fondamentale si trova nella voce delle matematiche divine e nella sua condizione di irriducibilità. Ed è in questo insuperabile Universo - verbo unico e armonioso - nella sua musica, che semplicemente abita la bellezza.

Il poeta è lo strumento di una Voce che raggiunge la terra seguendo la sua Idea e di un’Idea che raggiunge la terra seguendo la sua Voce. E dal loro terribile divino e umano reincontro, irriducibile e l’unico possibile, nasce l'incarnazione del Poema. Di questo, e non d'altro, tratta ला poesia

martes, 22 de septiembre de 2009

El Angel



                     El Angel

Autor: Guido Riggio Pou
Derechos reservados, certificado 0001901libro 05
Rep. Dominicana.1ra Edición 2005, 2da. 2004.
Impreso en: Talleres Grafisol ,
Santiago de los Caballeros, Rep. Dominicana
Portada :Angel Traveller.Gustave Moreau1826-1898
Gustave Moreau Museum, Paris.


                            Prólogo por León David

 Henos aquí ante el poema de una añoranza ancestral. Poema de diafanidad, de transparencia elocutiva que nos avecina a la comarca de la pura belleza.

Poema que en vaga melancolía, en su irredenta nostalgia, hace aflorar las incurables y obtusas constricciones de nuestra humana condición de barro y sombra… Versos de limpidez desafiante cuya morosa y suave progresión contrasta con los empeños de espectacularidad, hermetismo y rareza que caracterizan al grueso de la extraviada lírica contemporánea.

Poema en el que el fervor desgarrado, la esperanza maltrecha, la resignada compasión adoptan, desde las profundidades abisales del ser, la voz sagrada del incienso, la vaporosa gravedad de la plegaria.

Nos hace acceder, el poeta a un universo sutil y leve, enhebrado con ecos y susurros en el que vamos a ser testigos de los marchitos atavismos de la carne, sobre cuyos despojos, después de la caída originaria, construyo el hombre su aflictiva heredad.

Este es el meditativo canto de una ausencia, la rememoración de un linaje de brisa que ha perdido sus alas, la consternada reclamación ante el injusto, ante el insoportable olvido de los dioses.

No hallaremos en la poesía de Guido, que fluye cristalina del remanso del alma, espasmos ni estridencias. Advertimos demasiada ronca verdad y consentido agobio para que cometa el vate el desacato de levantar la voz esgrimiendo el afilado rejón del grito…

Poemas crepusculares tejidos con la hebra insidiosa de la penumbra, en cuyos hospitalarios recintos las cosas familiares (alas, huellas, tierra, aliento, soplo, venas, dardos, arietes) comienzan a mostrar una faz diferente, el evasivo rostro del misterio.

Percibimos mucho amor, mucha piedad genuina en la queja del bardo; huérfano y desterrado, puede el hombre, a pesar de todo, convertir su agraviada pesadumbre en canto ennoblecido merced al cual rescatar el suelo de una patria de luz que el Ángel habitase.

Desde la muerte, el frío, el dolor y la sombra, reclama el hombre le sea devuelta la seráfica dignidad de la que un día una ominosa negligencia le privara.

Henos pues, ante una poesía de tesitura metafísica y no hay poesía metafísica que no arrime el espíritu a los ojerosos parajes de la melancolía. El sentimiento metafísico es aspiración de absoluto y perfección en un aquí ahora degradado en el que esos supremos valores jamás tendrán cabida.

Anhelo incoercible de un confín de hermosura que tenazmente encubre sus perfiles, la intuición metafísica hace que el hombre, con desazón y hastío tome conciencia de su frágil, transitoria, limitada y obsolescente circunstancia existencial; mas en la taciturnidad de esa toma de conciencia se abrirá camino el asombro, el delicioso pasmo frente al enigma inviolable del ser.

En estos tiempos de adocenamiento y prosaísmo, de ramplonería y tosquedad, de trivialidad y plebeyez, el poema El Ángel de Guido Riggio se nos presenta como inusual cuanto afortunado oasis de frescura y belleza al que el sediento peregrino no dejará de dirigir sus pasos… Poesía cuya conmovedora sencillez y transparente hondura evoca, en la nostalgia de la ausencia, las portentosas maravillas que acaso alguna vez podremos vislumbrar porque lo promete la palabra milagrosa del lírida, que si no consiguió hacerse con la rosa, logro al menos impregnar las estancias del aire con el insumiso aroma de lo eterno.

Laúd sensible de más, laúd ideal y elegido, que al menor roce de alas abandonó sumisas y vibrantes las cuerdas, dispuestas a mediar entre los melancólicos acordes de un ángel y el oído del hombre (Edgar A. Poe)

                                                            
                                        El Ángel

                                                        A la voz de aquel día.




1

Entonces,
recostados
sobre el manto de la tierra,
tapizado
por el beso de las hojas,
tomaré tu aliento
y nos haremos humanos.

2

Descansarán mis alas,
me vestiré de hombre,
encontraré mi sombra,
fatigaré sus huellas
en mi ancestral morada,
el barro.

3

Alargaré mis alas
más allá de la Esfera
y mi luz
será
la sombra.

4

Vestido de anciano,
con mis ojos cerrados
- para que no me vean –
entraré al recinto
de los dioses dormidos,
les soplaré al oído
los susurros del viento
y me darán a esfera
y se abrirá la puerta
de un sueño distinto
para los cansados
sueños
de los hombres.


5

Condenado
en prisiones eternas,
por haber dado
a los aqueos
el sueño de este olimpo,
de estas divinas pasiones
y dioses
dormidos.

6

Temo
al oscuro hueco
donde un día
caerán
mis alas.


7

Vestido de ángel
me asomaré al abismo
de las catedrales muertas,
y habitará en el hombre
el sueño
de mi faz perfecta.


8

Hollaré el granero
de los dioses avaros,
colmaré con su trigo
a los hombres sedientos
y traeré de la tierra
abundante dolor
para los dioses dormidos.


9

Yace
mi imagen de piedra
olvidada de plegarias,
escondida de los cirios,
agobiada de promesas,
despreciada por los llantos
de frustradas oraciones,
por no haber dado
el sueño de los sueños
que ellos llaman
milagro.


10

Esos dioses
avaros
que se hacen rogar,
que atesoran oraciones,
inventaron las plegarias
y con mi vana
esperanza
colmarán sus tesoros.

11
Esos
dioses
aburridos,
cansados de otros juegos ,
inventaron el castigo.

12

No sé
que dios
será
detrás de dios.

que lejos está
el hombre,
más en la sombra.


13

Muchos siglos ha,
escuché la leyenda
en la arcana tierra
que narra la historia
de un libro
de extraño papel
que sirve de ariete,
de grillo,
para atar valientes,
para cortar sus venas.

14

No sé
que frío viento
me soplará
mañana.

15

Cansado
de su soplo eterno,
invocaré al anciano,
me quitaré el vestido,
le mostraré mi pecho,
me clavará su dardo,
descansaré
del tiempo.

16

Invocaron mi nombre
desde lejanas tierras.
Eran los valientes
de las catedrales muertas,
clamando a las piedras
cargadas de siglos
de viejas quimeras.
Fueron los valientes
de las catedrales
muertas.

17

Herrumbraré
su eje.
No girará más
mi cansada
rueda.

18

He cabalgado
en las centellas
buscando la fuente,
el destello primigenio.
Sólo me falta
Volar
a un oscuro cielo,
donde dicen los ancianos
que la luz ,
cansada
y sola ,
besó su sombra.

19

Y escuché
a Dios
orar…
Padre nuestro
que estás
en los cielos…

20

Cansado
de dormir
en la luz,
me dormiré
en la sombra.

21

Y algún día…
Impulsado
por mi sombra,
reemprenderé
mi vuelo.

22

Sueño
el paraíso perdido,
sueñan mis alas
los tiempos idos.

23

Y lloraron
los dioses
su nueva creación
de dolor
y muerte.




                                                                  CRITICA LITERARIA


El Ángel: Guido Riggio ó La Otra Voz.
Por: Alejandro Ovalles
Laúd sensible de más, laúd ideal y elegido, que al menor roce de alas abandonó sumisas y vibrantes las cuerdas, dispuestas a mediar entre los melancólicos acordes de un ángel y el oído del hombre (Edgar A. Poe)

Un buen poemario- calificativo éste menos difícil que delicado de pronunciar- no es solo un buen poemario, y menos cuando se trata del primero de un autor. El primer libro, sin importar el género, aunque el caso resulte más notable en poesía, cuando es bueno de más, cuando es considerablemente bueno, representa un dilema: representa para el autor la promesa de regalar al lector con otra creación, con un segundo poemario en nuestro caso, que cuando no supere en pensamiento y belleza del anterior, al menos lo iguale; o representará el sabio silencio posterior del autor , a sabiendas de que habrá sido preferible dejar solo una buena obra, y no una única buena obra entre sus obras. Vale el dilema, claro está, solo para los escritores, los poetas, respetuosos y concientes de su título, quienes son en consecuencia, los que escriben poesías, no simplemente poemas.

Guido Riggio, con Los Espejos del Tiempo, tras haber burlado la frontera increíble que situaba, a partir de ella , a distancias equivalentes pero infinitamente distintas, a dos universos que eran el mismo pero desdoblado ; tras haber burlado la superficie muerta del espejo, y desde dentro, instalado entre inéditos reflejos, haber descifrado en ellos la esencia del tiempo, no optó por aquel sabio silencio que neciamente tantos resisten, sino que - feliz decisión- optó por la promesa de una nueva creación El Ángel , que se eleva sobre Los Espejos del Tiempo haciendo de aquellos 29 poemas el principio de un discurso poético que se prolongará en otros temas y matices.

Como poemas de una pluma lejana de escritura extraña – arrancada quizá por un ángel de sus propias alas- ; como poemas ajenos al humano, mas no ajenos a lo humano, así nos llegan estos. Y esta vez no es el hombre con su voz quien los canta, ni nuestro lenguaje el que los guarda; es otra voz venida de muy lejos, la que habla a través de otro lenguaje también lejano, también extraño. ¿Es acaso la voz del ángel que expulsado por él mismo de su trono celestial, y extranjero de si mismo, posó adolorida y melancólica la mirada sobre los hombres buscando aquel “ideal y elegido”, a quien recitar sus memorias? Pero no hay que pensar, como algunos ya habrán hecho, en un ángel caído, nada de eso, porque el nuestro no lo está. Pensemos mejor en un ángel afligido, enternecido con el hombre, harto de dioses avaros, dormidos, aburridos y cansados de tantos juegos; pensemos mejor en un ángel temeroso de huecos oscuros, en un ángel cansado de dioses ocultos, cansado de viejas leyendas y soplos eternos; pensemos en el ángel del que a pesar que yace su imagen de piedra olvidada de plegarias, escondida de los sirios y agobiada de promesas…, ofrece sin reproches su sabiduría al hombre.

Finalmente es de admirar, en realidad es de quedarse maravillado, la manera en que la sensibilidad e intelecto de Guido se transforman en una nueva colección de poemas, y no me refiero a evolución de pensamiento, me refiero a la transformación de la forma de conocer y sentir. ¿Alguno de ustedes se atrevió alguna vez a reflexionar acerca de cómo piensan los ángeles, acerca de que cosas podría pensar o preocupar a un ángel; alguno ha pensado siquiera en la existencia de ellos? Quizá la mayoría, una que otra vez, hayamos reflexionado sobre su existencia, pero nunca sobre como piensan y menos sobre qué cosas podrían pensar y preocuparles, y de haberlo hecho, lo más seguro es que en mera reflexión nos hubiéramos quedado, en vaga conjetura y nada más; mas hoy Guido nos regala la certeza escrita en poesía angélica traducida para el hombre.


(Derechos Reservados Conforme a la Ley)

Entrevista Zona N, periodico Listin Diario Rep. Dominicana

                  ENTREVISTA a Guido Riggio Pou
                            por Rosa Silverio para el periódico LISTIN DIARIO
(http://www.listin.com.do/zona-n/2009/9/11/114594/Guido-Riggio-Pou)
 
Guido Riggio Pou es un agudo economista, controversial articulista y sensible escritor de la Ciudad Corazón. Su mirada recuerda al mar y su sonrisa delata al niño que pervive en su interior. En una ocasión le preguntaron quién era él y respondió que era sus muchos habitantes. A través de esta entrevista, desnudaremos al habitante cultor de la palabra y el conocimiento.

Cuéntanos sobre tus actividades como economista.
 
Me gradué en la PUCMM en el 1973 y me dediqué al sector privado, dando consultas y ayudando a desarrollar proyectos propios y ajenos, esencialmente en el subsector turístico e inmobiliario donde todavía me mantengo. La economía es una profesión fascinante, es una profesión que te permite soñar y jugar con los ladrillos que modelan un mundo mejor, un mundo donde todos los seres humanos puedan disfrutar de las bondades del progreso. El economista trata de encontrar las soluciones funcionales mediante las cuales la sociedad pueda alcanzar su desarrollo.

¿Cómo logras conciliar tu profesión con tu pasión por la literatura?
 
Cuando escribo sobre economía, estoy escribiendo algún ensayo, estoy creando, estoy pensando, estoy amando y creciendo, estoy dando de mí, amamantando a los seres que comparten la vida y la tierra conmigo. Les estoy dando mi vida y mi existencia, no importa si lo que escribo es sobre la economía y que resolverá un problema material humano, o si lo que escribo es un ensayo sobre lo bello, o una simple poesía que ponga a vibrar y a pensar a un alma; todos estos son aspectos que tocan profundamente al hombre, son parte de su naturaleza y de su existencia. Ambas son pasiones, la pasión no es más que una forma ardorosa de enfrentar un tema de la vida.

Se te ve con frecuencia en una tertulia con amigos en la Plaza Internacional. Confiésanos, ¿de qué hablan ustedes?
 
De lo mismo que hablábamos en nuestra juventud, cosas intrascendentes, pero ahora cargadas por el peso de la experiencia y de las arrugas que dejan los años en el espejo. A veces, o casi siempre, nos apresuramos, como niños maliciosos, para ver a alguna bella dama, tratando de atrapar el tiempo que nos escurre presuroso entre las manos.

Tus artículos de opinión sobre asuntos de la actualidad dominicana se han dado a conocer por ser puntillosos y hacer un gran uso de la ironía. ¿Eres el articulista de la controversia?
 
Ese estilo irónico no ha sido elegido por nosotros, no es algo ensayado, más bien el estilo elige al escritor. De todas maneras la ironía es parte de la crítica profunda que hacemos, no solo a la sociedad de la que formamos parte, sino que en el fondo es una critica a nosotros mismos. Si vamos a reír, debemos de empezar a reírnos de nuestras propias debilidades y ridiculeces. Toda puntilla tiene un origen autobiográfico, de manera que primero me burlo de mis propias incongruencias, de mis muchas debilidades.

Háblanos sobre tu vocación creadora, cómo surge y porqué sólo escribes poesía.
 
Sólo he publicado poesías, pero también espero la visita de alguna musa que le dé con escribir novelas. En cuanto a cómo surge… una vez meditaba en esto y concluía que uno escribe porque cree que con el lenguaje puede atrapar la realidad, pero lo cierto es que todo arte, aunque pretende atrapar la realidad, jamás la alcanza.

Has publicado tres poemarios: Los Espejos del Tiempo (1995), El Ángel (2002) y El Otro Jardín (2004). ¿Cuáles son los temas que abordas en cada libro y las diferencias entre uno y otro?
 
Inexorablemente la temática poética de esos tres libros me arrastra a las profundidades de la metafísica, los tres abordan al hombre sobre el solitario escenario de una incomprensible existencia, enfrentado al silencio de unos dioses que cada día nos tienen más confundidos, más conturbados. En la vida, las certezas son puros espejismos, son "realidades" que debemos inventar para que no se nos hunda la barca. Muchos sucumben y adoptan una visión del mundo que le proporciona certezas y seguridades, otros se arriesgan a nadar en las profundidades del abismo y jamás se aferran a dogmas y a doctrinas limitadas, siempre están tratando de encontrar nuevas y reales respuestas, reales respuestas que no se acomodan a simples dogmas que sólo sirven de placebo para apaciguar a las almas inquietas. Los tres libros están escritos con una gran economía y reticencia, mientras más escribo, más me convenzo de la imposibilidad del lenguaje de poder atrapar la realidad, por eso sólo trato de sugerir? para que sea la propia realidad la que hable.


Nos interesa saber cómo ha sido tu búsqueda literaria y cuáles son los libros y autores que has encontrado en el camino.
 
Busco en la lectura la sustancia, el pensamiento, la belleza, por eso prefiero leer y releer, profundizar en unos pocos buenos libros. Me gustan las lecturas que nos atrapan. No leo para estar al tanto de las últimas publicaciones. Son interesantes: las biografías noveladas, los ensayos, la historia, novelas densas, ciencia y todo lo que tiene que ver con el tema del lenguaje. Élie Faure, Will Durant, Paul Valéry, Marie Renault, Stefan Zweig, Franklin Mieses Burgos, Marguerite Yourcenar, Manuel del Cabral, Irving Stone, Lezama, Borges, Nietzsche, Heidegger, Freud, Saussure, Foucault, Hegel, Schopenhauer, Derrida, Kierkegaard, Krishnamurti, Althusser, Blavtsky, Stephen Hawking, clásicos griegos, clásicos de la literatura inglesa y castellana.

¿Qué importancia tiene el conocimiento y la cultura para un pueblo como el nuestro?
 
Para el nuestro y para cualquier pueblo el conocimiento y la cultura es fundamental para continuar nuestra marcha triunfante “como especie” por el camino de la vida. Sospecho que en el fondo los seres vivientes y los hombres somos, como vislumbra Dawkins, máquinas de supervivencia que servimos a unos genes que nos utilizan y que pretenden vivir eternamente, por siempre, sumergidos en el amor de las substancias . Quizás por esto amamos tanto a nuestros hijos.

 

 

 

 Del Blog de Rosa Silverio

Comparto con ustedes esta interesante entrevista hecha por León David  al escritor Guido Riggio Pou  autor de los poemarios: "Los espejos del tiempo", "El ángel" y "El otro jardín".

La entrevista salió publicada en el Periódico Hoy en su sección Areíto. Me parece que las respuestas de Guido no sólo son interesantes sino que además pueden dar origen a todo un debate. 

Sábado 4 de Marzo, 2006
Periódico HOY , Republica Dominicana , Areito ,CRÍTICA
(http://www.hoy.com.do/areito/2006/3/3/67450/print)


[Estamos concientes de que la belleza no es una categoría que se puede conceptualizar, pero sí sabemos que es sentir y que se puede dar cuenta de la belleza con la razón. Guido Riggio]

POR LEÓN DAVID
¿Cómo empezaste a escribir? ¿Qué te movió a ello?
 
Todo hombre es cazador (el control remoto de la televisión lo confirma), la mujer recolectora (otra forma de caza) y el arte, en manos del artista, persigue la realidad que está constantemente en fuga, busca atraparla, comprenderla, cazarla.

Como amante del arte parece que la sensibilidad o el destino, no lo sé, me condujo a esta aventura donde el lenguaje, la escritura, en vez de la pintura o la música, es el instrumento de caza que me permite alimentar y enfrentar cada día el vacío existencial y la tristeza que sentimos cuando contemplamos el universo y tomamos conciencia de nuestra soledad, de nuestra efímera existencia. Tal vez por eso escribo.

¿Que te llevó a trabajar la forma japonesa del Haiku?
El Haiku, ese Bonsái poético, me cautivó por su brevedad. Siempre he sido un admirador de la brevedad, de la síntesis, (pero hoy tengo que hablar hasta llenar 4 cuartillas) de la economía lingüística, de la orfandad retórica, la desnudez, la sobriedad, la intuición, y el haiku con sus 17 sílabas y su estética taoísta y zen, es un gran desafío. Poesía y síntesis caminan aferradas de la mano.

El arte persigue la realidad, ella siempre se escapa. El lenguaje, que es metáfora, nos conduce por el mundo a través del símbolo, pero este símbolo, el lenguaje, la palabra, no es la realidad.

Vivimos confundidos (no es sólo por los políticos). Y es en el mundo occidental donde la confusión está más arraigada ( y no es culpa de Bush). Nuestro lenguaje, contrario al idioma japonés, ha evolucionado por un camino que lo ha alejado aun más de la realidad, se ha súper estructurado de tal forma que se ha constituido en autónomo, ya tiene vida propia. Sin embargo el lenguaje japonés (al igual que otros) ha tomado un camino evolutivo diferente; sus hablantes nunca olvidaron que el lenguaje es un mero símbolo, un artificio usado para representar la realidad, no la sustituye. El idioma japonés no pretende definir la realidad, en cambio la sugiere, y al accionar nos deja bien en claro que no la suplanta. Su lenguaje asume internamente que no está reproduciendo la realidad; a diferencia de los idiomas occidentales, que en sus propias estructuras internas, asumen que, como Dios, pueden sustituirla a plenitud, en su mínimo detalle. Con nuestro lenguaje nos hemos alejado del mundo pre simbólico, hemos opacado la realidad que pretendemos vivificar.

La poesía es la forma de uso del lenguaje que nos permite expresar un estado de conciencia superior, con ella nos acercamos un poco al estado pre simbólico. Decimos que el lenguaje poético es capaz de atrapar la realidad (y a algunas mujeres) y las emociones estéticas que percibimos. Y precisamente, la emoción que sentimos al leer un buen poema, en gran medida, se debe al efecto alado que nos proporciona el lenguaje poético al liberarnos parcialmente del símbolo que nos esclaviza y somete. Por esto un buen poeta nunca tratará de capturar, definir, abarcar la realidad en su totalidad ,siempre deja el espacio, la libertad, la posibilidad al lector de penetrar al mundo mágico de la imaginación, donde la cárcel simbólica del lenguaje que lo angustia y lo somete puede ser burlada.

Somos esclavos de las estructuras del lenguaje (y del matrimonio) que nos obligan a convertir la realidad en “un sistema de palabras”.

Jorge Luis Borges, poeta exquisito, en su prosa poética y en su poesía demuestra estar muy conciente de esta condición del lenguaje. En el poema “El Otro Tigre” Borges trata este tema con mucha profundidad y claridad cuando nos dice al final de su poema: que él no quiere convertir un tercer tigre (había convertido dos) en “un sistema de palabras humanas” pero que sin embargo “algo me impone esta aventura indefinida, insensata y antigua” y manifiesta que no puede entonces dejar de buscar “El otro tigre, el que no está en el verso”, el real (destino inexorable del poeta).

Borges insiste en el tema . En el Golem el rabino de Praga encuentra el terrible Nombre que da vida a su muñeco Golem quien “Gradualmente se vio (como nosotros) / aprisionado en esta red sonora /de Antes, Después, Ayer, Mientras, Ahora, / Derecha, Izquierda, Yo, Tú, Aquellos, Otros.”

Y en el mismo poema cuando afirma: “Si (como el griego afirma en el Cratilo) /El nombre es arquetipo de la cosa/ en las letras de rosa está la rosa/ Y todo el Nilo en la palabra Nilo.” nos advierte Borges de la trampa del lenguaje, trampa en la que hemos caído porque es la única alternativa que nos ofrece el lenguaje.

El poeta, que intuye que la realidad existe más allá de los límites del lenguaje, vive en eterna agonía tratando de alcanzar aquella realidad con su palabra. Nuestra lengua es muy discursiva, dual; la nipona es menos concreta, su estructura interna es portadora de su propia condición limitada, de la conciencia de su artificialidad simbólica. En nuestro último libro “El Otro Jardín” de poemas tipo haiku, que tú conoces, hemos tratado, sin transgredir la estructura interna de nuestro idioma, de adecuar nuestro lenguaje, respetando la realidad lo más posible en pos de alcanzar la conciencia trans- simbólica, el estado original no dual. Tratamos de “conceder la palabra al silencio” (son palabras tuyas), buscando crear una atmósfera donde el espíritu se deleite, más cerca a la meditación que a la retórica. Quizás esta sea la razón por la que escribo haikus.

¿Qué opinión te merece la poesía dominicana de las últimas décadas?
En los últimos tiempos puede que sea el género más escrito en Dominicana y hay muy buenas poesías y otras menos buenas.

El tema es muy difícil de abordar porque nos conduce al campo de la estética, (y tú conoces muy bien mis gustos porque me has prologado dos libros) además es muy controversial y sensible. Estamos concientes de que la belleza no es una categoría que se puede conceptualizar, pero sí sabemos que es sentir y que se puede dar cuenta de la belleza con la razón. Sin embargo te voy a señalar algo: los poetas debemos siempre estar abiertos a percibir las voces que provienen del mundo de la belleza (gracias le doy a Nelson Julio Minaya). El poeta, más que nadie, como sumo sacerdote de la palabra, debe ser humilde, manso, alejado del orgullo ciego que muchas veces nos invade al sentirnos creadores. Hay que cuidar la llama del templo. Sólo así podremos escuchar la voz del pastor que nos conducirá al paraíso donde mora (oculta de lobos y farsantes) la belleza. Tenemos que mantenernos alejados de la selva, de la confusión estética que nos acosa. Hay que desarrollar el buen gusto, que en última instancia viene del espíritu. En el espíritu es donde vamos a encontrar la belleza, es en él donde se encuentra la fuente de la buena poesía, no en el egoísmo, en la fama o en la gloria. Dejarse pastorear puede ser clave.

¿Cuáles son tus escritores favoritos, criollos y extranjeros? ¿Por qué los prefieres?

A veces, en poesía, debemos hablar de poesías favoritas, no de poetas favoritos porque un poeta puede tener buenos y “menos buenos” poemas. Muy extraño fenómeno, no raro, asumiendo que todo poeta tiene una estética que le permite discernir la belleza y censurar sus creaciones y evitar su publicación. Sería como exhibir su mal gusto, o quizás su confusión, o tal vez es que no posee conciencia plena de lo que hace y su obra es producto del azar.

Nos gustan las lecturas que nos atrapan. No leemos para estar al tanto de las últimas publicaciones. Son interesantes: las biografías noveladas, los ensayos, la historia, novelas densas, ciencia (que hoy parece sustituir a la filosofía), metafísica, cuentos y todo lo que tiene que ver con el tema del lenguaje. Elie Faure, Will Durant, Paul Valery, Marie Renault, Stefan Zweig, Franklin Mieses Burgos,Yourcenar, Manuel del Cabral, Irving Stone, Lezama, Borges, Nietzsche, Heidegger, Freud, Saussure, Foucault, Hegel, Schopenhauer, Derrida, Kierkegaard, Krisnamurti, Althusser, Blavtsky, Stephen Hawking, clásicos griegos, clásicos de la literatura inglesa y castellana, y muchos otros preferidos; sin dejar de reflexionar siempre en tu exquisito “Cálamo Currente”.

Como todos, busco en la lectura la sustancia, el pensamiento, la belleza, por eso los prefiero. Ante esta súper producción literaria avasallante creo que leer, releer, profundizar en unos pocos buenos libros es suficiente para nutrir, recrear nuestro espíritu y burlar el tiempo.

¿Cuál es el valor de la literatura? ¿Cumple una función social?
El lenguaje mata y eterniza la realidad. La literatura nos somete y domestica, y paradójicamente es la que nos hace ver y comprender mejor el mundo; el mundo llega a nosotros a través del lenguaje, del símbolo. El símbolo al frisar el mundo nos permite su análisis y comprensión. En el estadio pre simbólico no existía el antes ni el después, el mundo era una totalidad, no había sido desmembrado por la palabra (el lenguaje). Entonces, al nacer la lengua, fuimos víctimas de su simbolismo y somos doblemente atormentados porque no estamos concientes de sus cadenas. Nuestras referencias culturales, históricas, sociales, conceptuales etc. provienen del lenguaje, la literatura. La función social del lenguaje sobre la sociedad es avasallante. Todo suceso, vivencia, experiencia se convierte en lenguaje, en ficción. Literatura, lenguaje es ficción. La sociedad es víctima del lenguaje, víctima de la madeja que hemos creado con la palabra. El lenguaje es el culpable de muchos conflictos humanos. Es un acto de magia imperceptible, muy sutil, que mantiene a las masas, al individuo, en un eterno estado hipnótico. A veces pienso que es la sociedad la que cumple con una función literaria.

¿Qué es para ti una obra clásica?
La estética actual tiene como bandera una mal entendida “libertad creadora”. La literatura “moderna” o los autores modernos poseen una fuerte tendencia a buscar la novedad dentro de una exaltación excesiva de la autenticidad. Se trata de huir de lo clásico aun a costa de la belleza, a costa de los auténticos valores que se nutren del espíritu. Para muchos ser autentico, diferente, es la clave del éxito.

A veces pienso que los valores estéticos que imperan en el momento no son más que valores de una etapa involutiva, natural quizás, y por que no, necesaria, en el ciclo de vida de la creación artística, que tendremos que soportar hasta que retornemos a los verdaderos valores, los de la clasicidad: el cuido de los valores formales, la decencia, la hondura, el amor por la belleza etc. que hacen de una obra un ser viviente. Sólo las obras clásicas permanecerán, todo lo demás caerá en el olvido, será pasto del tiempo. Las obras producto del tiempo entran y salen del espíritu del lector sin dejar nada, son hijas de la confusión estética, del caos estético que lamentablemente ha contaminado a nuestros creadores. Nos da mucha pena ver a tantos talentos en el camino equivocado, el laberinto de los “ismos”, no son más que trampas del lenguaje. Lo clásico no es una estética, “es la estética”. Discutir sobre este tema se reduce, quizás, a un asunto semántico, a una confusión de símbolos.

¿Quién es Guido Riggio Pou?

Te podría contestar el poema “Mis Muchos”, último de mi libro “Los Espejos del Tiempo” donde soy una especie de Golem que sueña liberarse de un “sistema de palabras” que le habitan: “De mis muchos habitantes que me habitan, / de los rostros que me miran desde el fondo del espejo, / a los arcanos rostros que me asoman en la sombra, / los dejaré dormidos en su tierra misteriosa. / Mataré la muerte y emprenderé mi vuelo.”

O quizás soy el Rabino de Praga y como Platón sospecho que el Nombre es el arquetipo de la cosa.